Donne, il primo Piano strategico nazionale anti-violenza è realtà

Via libera al primo Piano strategico nazionale (2017-2020) sulla violenza alle donne e alle Linee guida nazionali per le aziende sanitarie e ospedaliere in tema di soccorso alle donne.

La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, giovedì 23 novembre a Roma, ha dato infatti parere favorevole al progetto che mette in campo azioni concrete per sostenere le donne, contrastare la violenza di genere e favorire percorsi di piena autonomia.

Un risultato che la Regione Emilia-Romagna accoglie con soddisfazione.

Prevenzione, protezione delle vittime e punizione degli autori di violenza. Sono le tre gambe su cui poggia il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 messo a punto dal governo. Tre ambiti di intervento accompagnati da un quarto asse trasversale, le politiche integrate di intervento, per costruire un sistema di raccolta dati e valutarne l’esecuzione. La nuova strategia, che prosegue nell’attuazione dei principi della Convenzione di Istanbul, iniziata con il decreto legge del 2013, è stata messa nero su bianco a seguito del confronto del gruppo di lavoro composto da rappresentanti delle amministrazioni centrali, regionali e locali, dall’associazionismo di riferimento nazionale, centri antiviolenza e case rifugio in primis, dalle maggiori sigle sindacali, dai referenti dell’Istat e del Cnr.

Cosa prevede il Piano

Il piano antiviolenza articola una serie di proposte per superare le discriminazioni e le violenze di genere in tutti gli ambiti in cui avvengono, a partire dal mondo del lavoro, ma anche nel linguaggio o nell’istruzione, fino ad arrivare a settori come la salute.

Tra le azioni previste, figurano: reddito di autodeterminazione per le donne che decidono di uscire dalla violenza; nessun obbligo di denuncia nei Pronto soccorso senza il consenso della donna; più fondi per i centri antiviolenza; garanzia d’indipendenza e laicità dei centri; politiche per la genitorialità condivisa, come l’estensione dei congedi di paternità a tutte le tipologie contrattuali, non solo nel lavoro subordinato e non solo in presenza di un contratto di lavoro; investimenti sulla formazione e su percorsi di educazione nelle scuole e nelle università che superino gli stereotipi di genere; specifica formazione nel mondo del giornalismo e dell’informazione per usare una terminologia appropriata quando si affrontano queste tematiche; finanziamenti ai consultori per garantire l’accesso alla contraccezione, all’informazione e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili; apertura delle case pubbliche della maternità per evitare la violenza ostetrica durante il parto; riconoscimento della protezione internazionale per le donne di origine straniera che si sottraggono alla violenza, come ad esempio la tratta degli esseri umani; istituzione di banche dati sulle molestie nei posti di lavoro, sulle differenze di retribuzione salariale e sull’applicazione della legge 194/78 che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza.