Martedì 26 aprile ore 10.00

Sala Polivalente “Guido Fanti” in Viale Aldo Moro 50 – Bologna

 

Anniversario Chernobyl

Un seminario sugli effetti della nube nucleare e i progetti di accoglienza e assistenza sanitaria dei bambini provenienti dalle zone contaminate

A trent’anni dalla catastrofe nucleare di Cernobyl, avvenuta nel nord dell’Ucraina il 26 aprile 1986, la Regione Emilia-Romagna coglie l’occasione di ricordare quel tragico evento promuovendo un seminario che avrà l’obiettivo di mettere in luce il tema degli  effetti della nube nucleare che ancora ricadono sulla popolazione della zona contaminata, e dell’importanza di continuare a offrire ai bambini nati in Bielorussia (dal 1999 al 2015 sono stati accolti nella nostra regione, presso famiglie emiliano-romagnole e sottoposti a cure e controlli sanitario, 11.434 bambini con meno di 14 anni, provenienti dalla zona colpita dalle radiazioni ) opportunità di cura e prevenzione adeguate.

L’evento, organizzato dalla Regione Emilia-Romagna e dall’Assemblea Legislativa regionale, al quale parteciperanno la vicepresidente della Regione Elisabetta Gualmini e la presidente della Assemblea legislativa Simonetta Saliera, si terrà martedì 26 aprile dalle ore 10 alle 13.30 nella Sala Polivalente “Guido Fanti” dell’Assemblea, Viale Aldo Moro 50 a Bologna.

Verrà proiettata un’anticipazione  del cortometraggio “Nascono i fiori” del regista Mauro Bartoli, sulla storia di alcuni bambini provenienti dalle zone del disastro e ospitati in famiglia.  

 

Di seguito l’intervento della Consigliera regionale Francesca Marchetti

 

Buongiorno a tutti,
grazie alla Vicepresidente Gualmini e all’Assemblea legislativa per avere promosso questa giornata. Ma soprattutto grazie a Voi e dei Vostri contributi.
Difficile non cadere nella retorica. Credo che il senso di questa giornata sia aprire una riflessione,  un punto di partenza per proci delle domande e rilanciare e ridefinire insieme una la possibilità e la necessità di aprire nuove progettualità con la consapevolezza e la responsabilità di  dell’ancora tremenda attualità di Chernobyl.
– in quella rete di solidarietà e di accoglienza che si è attivata in Italia  L’Emilia Romagna si è contraddistinta per la collaborazione e l’attivazione di diversi progetti. Migliaia di bambini hanno preso parte ai soggiorni estivi presso el famiglie della regione e hanno usufruito delle cure dell’usl.
– macchina della solidarietà con le Istituzioni, enti, associazioni ma soprattutto famiglie che hanno aperto le porte delle loro case instaurando e consolidando legami forti.
-cercare di definire i criteri di accoglienza
– il confronto con le realtà di oggi per rilanciare
– opportunità di risanamento socializzazione e accoglienza
Affermare un impegno
Ma permettetemi qualche breve considerazione:
Quella di oggi, l’occasione di un anniversario risveglia l’attenzione su un tema dimenticato. Anche noi oggi insieme torniamo a posare gli occhi su Chernobyl e per qualche giorno si chiede: 30 anni dopo, che succede là dove è avvenuto uno dei più gravi disastri nucleari della storia? Cosa possiamo fare noi oggi?
Questa cicatrice ambientale e umana „questa catastrofe così lontana nel tempo, ma i cui effetti sono ancora oggi presenti.
Il trentesimo anniversario rappresenta una data particolarmente significativa per tante ragioni. Per la capacità evocativa che ha in sé e perché rammenta i problemi ancora non risolti che il nucleare si porta appresso ( l’insicurezza intrinseca delle centrali, il problema dello smaltimento delle scorie e dello stoccaggio delle barre esauste , ecc). “Ricordare” Černobyl’, o meglio non dimenticare mai ciò che lì accadde, è tanto più importante in questo caso perché le “tracce” lasciate da quel giorno maledetto sono permanenti..  Non dobbiamo permettere che si dimentichi, perché il nocciolo del quarto reattore della centrale ucraina, esploso quella lontana notte di trent’anni fa,  arde ancora sotto quel sarcofago di cemento armato.
-accesso alle cure
Per tutti i bambini vi è un’unica speranza : quella di un futuro migliore.
La speranza è il testimone che ci viene allungato per continuare la corsa della vita: anche, e nonostante tutto, nelle zone di Chernobyl; anche, e nonostante tutto, la rassegnazione ai tempi lunghi. Anche e perchè, soprattutto, la speranza è il collante che ci unisce e che ci spinge alla concretezza ed alla scelta dei cammini percorribili.
cammini che per questi bambini  significano vita.

Dopo la tragedia di Chernobyl la popolazione italiana è stata molto attiva e solidale, creando la più grande rete di accoglienza al mondo dei bambini delle zone colpite dall’incidente e creando un legame molto forte finalizzato a tutelare la salute di molti bambini e famiglie – ricorda il presidente di Soleterre Damiano Rizzi – una solidarietà che deve continuare ancora oggi, come purtroppo continuano gli effetti negativi sulla salute dei bambini. Per questo Soleterre da anni lavora in due reparti oncologi e ha aperto una casa di accoglienza per bambini onco-malati a Kiev».

bisogna salvaguardare i diritti di 5 milioni di persone che vivono ancora in quei luoghi”.

E come spesso avviene, in occasione di un anniversario si risveglia l’attenzione su un tema dimenticato. Il mondo torna a posare gli occhi su Chernobyl e per qualche giorno si chiede: 30 anni dopo, che succede là dove è avvenuto uno dei più gravi disastri nucleari della storia? Ha un senso per Chernobyl usare la parola “guarire”? O quale prezzo pagano ancora le foreste, gli animali? E gli uomini?
C’è di nuovo vita intorno a Chernobyl, malgrado chiamino “zona della morte” l’area proibita all’uomo, per un raggio di 30 km dalla centrale. Gli scienziati mettono le mani avanti: non esistono ancora studi affidabili che valutino con precisione l’impatto di quella nube radioattiva e i rischi per la salute, ora e negli anni a venire. Nella “exclusion zone” però il ritorno di diverse specie animali, anche protette, potrebbe far pensare che per loro l’impatto dell’assenza dell’uomo sia superiore a quello negativo della radioattività. Lupi, volpi, cinghiali, cavalli selvatici, linci, cervi: “La distribuzione degli animali non è influenzata dai livelli della radioattività”, hanno concluso i ricercatori americani della Georgia University. Anche se intorno alla centrale esplosa, oppure tra le strade spettrali di Pripyat – la città dei dipendenti evacuata solo a diverse ore dal disastro – i tassi di radioattività variano tantissimo. Aumentano precipitosamente scavando nel terreno: la ragione per cui a Pripyat nessuno potrà mai più tornare.
Ma più lontano, qua e là nei villaggi, qualcuno pian piano è tornato: anziani su cui le autorità ucraine chiudono un occhio, 300 persone troppo povere per vivere altrove, o troppo legate alla propria casa per lasciarla. Vecchi convinti che per raggiungerli la radioattività impiegherebbe più tempo di quanto resta loro da vivere. Non fanno turni nella “zona della morte”, a differenza delle circa 6.000 persone impegnate nello smantellamento della centrale.
E poi ci sono gli abitanti dei villaggi oltre la “zona di esclusione”, nelle province russe e bielorusse più vicine all’Ucraina, investite 30 anni fa dalla nube e ancora in prima linea nel pagarne le conseguenze, soprattutto ora che la crisi economica riduce gli aiuti dei rispettivi governi. Ma anche nel calcolo delle vittime dell’incidente – quelle degli anni passati e quelle che verranno – le stime variano tantissimo e sono controverse. Si parla di qualche migliaia di morti oppure – è l’opinione di Greenpeace – di 100mila. A ogni anniversario si moltiplicano i rapporti scientifici che cercano di quantificare l’impatto dell’esposizione alla polvere radioattiva analizzando l’aumento dei casi di tumori alla tiroide tra i bambini, il calo demografico e l’infertilità delle donne, le malformazioni genetiche.
Non c’è bisogno di un numero preciso per dare una dimensione infinita alla tragedia di Chernobyl. Tra le voci che gridano dalle pagine del libro di Svetlana Aleksievich c’è quella di Lyudmilla Ignatenko, moglie di Vasily. Uno dei primi mandati a spegnere l’inferno, come se fosse stato un incendio qualsiasi. “Torno presto”, le disse quella notte.
Mentre lui moriva, in ospedale a Mosca, soffocato dai suoi stessi organi sfracellati, volevano impedire a Lyudmilla di abbracciarlo: “Non è più tuo marito, non è più una persona amata, ma un oggetto radioattivo”. Ora a Chernobyl c’è un monumento che onora i “liquidatori”, un gruppo di statue grigie di pompieri con un semplice idrante in mano, attorno a una stele e a una croce. E c’è una targa: “A coloro che hanno salvato il mondo”.
Trentennale del disastro di Chernobyl: Bagnacavallo accoglie 16 bambini bielorussi
„questa catastrofe così lontana nel tempo, ma i cui effetti sono ancora oggi presenti. E l’accoglienza dei bimbi provenienti dalle zone contaminate – sostengono i promotori – è tuttora un progetto valido e attuale”.“

la consapevolezza dell’ancora tremenda attualità di Chernobyl, con l’alto prezzo pagato in termini di vite umane-

Potrebbe

«Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, gli effetti della contaminazione pesano sulla popolazione residente in Bielorussia e almeno 500 mila minori vivono in zone ad alta radioattività» spiega Fabrizio Pacifici, fondatore di Aiutiamoli a Vivere che, con la sua rete di famiglie, dal 1992 a oggi ha permesso l’ospitalità in Italia di 60 mila bambini.
Pacifici ricorda che la nube nucleare investì i due terzi del territorio dell’attuale Bielorussia e ancora oggi circa 1.800 centri abitati insistono nelle zone contaminate, per la quasi totalità aree rurali. «Non è il momento di abbassare la guardia» dice. «La contaminazione di lungo periodo è terribilmente insidiosa per la popolazione locale che, complice la difficoltà economica, consuma selvaggina, funghi, frutti di bosco e brucia legname per scaldarsi», aggiunge. «Ogni anno fra i  figli della gente che vive qui si verificano circa seimila nuovi casi di carcinomi alla tiroide, leucemie e altri tipi di tumore. È per questo che chiediamo a nuove famiglie italiane di ospitare i bambini di Chernobyl per un mese di soggiorno lontano dalle aree contaminate».
Il miglioramento sulla loro salute è dimostrato: le analisi comprovano un abbattimento della concentrazione di cesio 137 dal 30 all’80 per cento.
Per conoscere gli eventi di sensibilizzazione e incontrare il comitato di famiglie più vicino, cliccare qui.

Ma allora perché restate qui, Evgenia? Insisto. Non riesco ad accettare che l’attaccamento a una terra tanto cancerosa non abbia spiegazioni plausibili. Lei tenta, si sforza, inizia a parlare, s’interrompe, riprende da capo: «Siamo un popolo contadino. La dignità è vivere dei prodotti della nostra terra. Non possiamo abbandonarla. Che ne sarebbe di noi?». E a me sembra di rileggere le parole di un’insegnante intervistata dalla scrittrice bielorussa Svjatlana Aleksievič nel suo meraviglioso e tremendoPreghiera per Chernobyl , quando dice: «Rinunciare ai cetrioli del proprio orto era considerato un fatto più grave di Chernobyl».
Christophe Murith è però certo di un fatto: «Depressioni, ansie, suicidi, stress post traumatici e in generale la mancanza di prospettive per le popolazioni evacuate continuano a essere il problema maggiore. Le ripercussioni psicologiche della catastrofe superano di gran lunga quelle radiologiche».

In Italia, sull’onda di quel distrastro, venne indetto un referendum nel 1987 che chiuse definitivamente la pagina del nucleare nel nostro Paese. Il trentesimo anniversario rappresenta una data particolarmente significativa per tante ragioni. Per la capacità evocativa che ha in sé e perché rammenta i problemi ancora non risolti che il nucleare si porta appresso ( l’insicurezza intrinseca delle centrali, il problema dello smaltimento delle scorie e dello stoccaggio delle barre esauste , ecc). “Ricordare” Černobyl’, o meglio non dimenticare mai ciò che lì accadde, è tanto più importante in questo caso perché le “tracce” lasciate da quel giorno maledetto rimarranno per molte centinaia di anni.  Non dobbiamo permettere che si dimentichi, perché il nocciolo del quarto reattore della centrale ucraina, esploso quella lontana notte di trent’anni fa,  arde ancora sotto quel sarcofago di cemento armato.
“Si tratta di diritti non attuati” su cui bisognerebbe intervenire. Chernobyl, e poi Fukushima, “hanno modificato la percezione dei rischi nell’opinione pubblica. Prima si pensava che l’impossibile non potesse succedere, invece è successo e poi è ricapitato 3 volte in Giappone. Ora – termina Onufrio – bisogna salvaguardare i diritti di 5 milioni di persone che vivono ancora in quei luoghi”. (DIRE)

Anche la crisi politica e la guerra in Ucraina hanno pesanti conseguenze sul post-Chernobyl: secondo l’Ong austriaca Global 2000, «Lo Stato ucraino non è più in grado di finanziare un sistema sanitario già debole e alcune terapie contr il cancro destinate ai bambini non sono più disponibili nel nord del Paese».
Di fronte a questo quadro che pochi conoscono e che troppe fonti ufficiali, a partire dall’International atomic energy agency, minimizzano, Angelo Gentili, responsabile Legambiente solidarietà, sottolinea che «Abbiamo il dovere di occuparci delle popolazioni colpite dal disastro partendo proprio dai bambini, che sono i soggetti più vulnerabili. Il nostro aiuto passa principalmente dal Progetto rugiada che ogni anno garantisce a 100 bambini, provenienti dalle zone maggiormente contaminate, un soggiorno di un mese in un centro specializzato della Bielorussia dove ricevono visite sanitarie e cibo non contaminato e dove posso giocare e fare attività didattiche».
Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, sottolinea: «Anche se sono passati 30 anni dall’incidente del 26 aprile 1986, la situazione continua a essere grave e le persone, soprattutto i bambini, continuano ad ammalarsi. L’incidente di Cernobyl dimostra non solo l’assurdità della scelta nucleare ma anche l’impossibilità di gestire e controllare le conseguenze di un tale incidente. Chiediamo alla Commissione europea e alla Comunità internazionale di intervenire per mettere subito in sicurezza il reattore che ancora contiene 180 tonnellate di combustibile».
A causa dell’esplosione, morirono immediatamente una trentina di addetti della centrale. Per oltre trentasei ore le autorità continuarono a minimizzare l’accaduto, da un lato per non ammettere le gravi lacune progettuali e di costruzione compiute al momento in cui la centrale era stata realizzata, dall’altro per non far trapelare i numerosi errori commessi dai dipendenti dell’impianto. Nei giorni successivi, furono sacrificate migliaia di vite, tra pompieri, liquidatori, minatori e militari, tutti impiegati per arginare il disastro e per salvare il salvabile. Solo grazie all’eroico operato di un gruppo di minatori fu evitata un’esplosione termonucleare che, in pochi secondi, avrebbe distrutto ogni forma di vita nel raggio di decine di chilometri. Nonostante i tentativi di mettere a tacere la cosa, ben presto l’intera Europa si rese conto che quello che di Chernobyl era il più grave disastro atomico della storia. Dalla centrale ucraina, si era sollevata una nube di polveri radioattive composta perlopiù da uranio, plutonio e cesio. Le polveri, trasportate dai venti, raggiunsero rapidamente i Paesi vicini e quasi tutti gli stati europei. Fu grazie alle rilevazioni di un laboratorio svedese, che la le autorità ucraine e sovietiche furono costrette ad ammettere la reale gravità dell’incidente.
Dopo giorni di silenzi e inerzia, migliaia di persone che vivevano nelle cittadine attorno alla centrale furono fatte sgomberare con la promessa di poter tornare presto alle loro case. Tuttavia molte di loro non vi fecero mai più ritorno. Nei mesi e negli anni a seguire, nonostante i tentativi di mettere in sicurezza l’impianto, il disastro di Chernobyl ha continuato a mietere migliaia di vittime fra i soccorritori e fra gli abitanti delle aree vicine e a causare immensi danni alle persone e all’ambiente. Numerosi sono stati i casi di bambini nati con serie malformazioni o affetti da gravi malattie a causa delle radiazioni, che hanno avuto enormi ripercussioni anche sulla flora e la fauna di tutta la zona. Si stima che le città e le aree nelle immediate vicinanze della centrale non potranno essere abitate per i prossimi 24.000 anni.
Un disastro, una catastrofe, una tragedia, sono queste le parole più adatte a descrivere ciò che è accaduto trent’anni fa a Chernobyl. Dopo tre decenni di accuse e rimpalli che mai hanno realmente chiarito tutte le responsabilità, ciò che resta sono un rudere fatiscente che per molti anni ancora sarà portatore di morte, quella fascia di “sicurezza” che circonda la centrale e il dramma di quella povera gente che è stata colpita da quell’immane catastrofe. Come dimostrato da un secondo incidente avvenuto nel 1991, per fortuna senza conseguenze, l’impianto permane in uno stato di pericolo che continuerà per molti anni ancora. Attualmente si sta lavorando a un nuovo sarcofago che dovrebbe sostituire quello costruito nel 1986, ormai danneggiato dalle radiazioni.
Quello avvenuto a Chernobyl è stato per anni il più grave episodio della storia umana dall’inizio dell’era atomica. Solo nel 2011, il disastro di Fukushima in Giappone è riuscito nella ben poco invidiabile impresa di eguagliare l’incidente del 1986. Ciononostante, esiste una larga parte di esperti che continua a considerare la tecnologia nucleare la migliore soluzione per sostituire il petrolio e i suoi derivati nella produzione di energia. In realtà le enormi spese di realizzazione degli impianti atomici, gli eccessivi costi di smaltimento delle scorie radioattive e il ciclo relativamente breve di vita di questa tipologia di centrali, dovrebbero sconsigliarne la costruzione e spingere i lori sostenitori a più miti consigli. E se le motivazioni addotte non dovessero essere sufficienti, basterebbe vedere la terribile aurea di morte che avvolge l’area di Chernobyl, pensare a quei campi contaminati e radioattivi che circondano l’impianto, osservare i disastri genetici causati da quella catastrofe e guardare negli occhi quei bambini, nati e cresciuti in quella zona di confine fra Ucraina e Bielorussia, che ancora non sanno se dovranno pagare sulla loro pelle gli errori commessi trent’anni fa.
(di Christopher Rovetti)
Categoria: Società
Chernobyl, il più grave disastro nucleare della storia, è soprattutto una strage di bambini. Di chi era bambino ai tempi e di chi lo è ora perché la l’esposizione a sostanze atomiche è come unamaledizione: si passa di padre in figlio e trent’anni dopo quel 26 aprile 1986 l’Ucraina sta ancora facendo i conti con quella terribile eredità.
La fuoriuscita di vapore contaminato cessò il successivo 10 maggio, ma il reattore numero 4 della centrale fu definitivamente tombato nel “sarcofago” solo tre anni dopo grazie al lavoro di un esercito di 600mila uomini che si sottoposero a dosi di radiazioni altissime. La storia li ricorderà come “i liquidatori”.
Nonostante il loro sacrificio, gli isotopi della morte sono riusciti ad avvelenare un un territorio di150mila chilometri quadrati fra Ucraina, Russia e Bielorussia su cui vivevano più di 17 milioni di abitanti. All’epoca tra loro 2 milioni e mezzo avevano meno di sette anni.
Nel 1991 il governo di Kiev riconobbe come “vittime del disastro di Chernobyl”, bisognose di protezionesociale e medica, tre milioni e 400mila persone. Un milione e duecentomila erano bambini. I bambini di Chernobyl, come vengono ricordati in Italia, il paese che creò la più grande rete di accoglienza al mondo per i piccoli residenti delle zone colpite dal disastro.
“Il problema atavico del Paese è lo scarso accesso ai farmaci antitumorali”, spiega Rizzi che da 12 anni è presente nel Paese. Dal 2014, con lo scoppio delle ostilità nel Donbass, la situazione è precipitata ulteriormente. “Le autorità sanitarie non sono riuscite ancora ad acquistare antidolorifici, analgesici e chemioterapici per il 2016 e siamo già a metà aprile”, denuncia Soleterre. Il risultato è che le famiglie ricche riescono a procurarsi le cure per i piccoli al mercato nero (e spesso sono le stesse farmacie degli ospedali a venderle sottobanco), per i più poveri invece il destino è segnato. Se in Europa le percentuali di guarigione sono il 75-80 per cento dei casi, in Ucraina si scende al 55.5.

Per tutti i bambini vi è un’unica speranza : quella di un futuro migliore.
La speranza è il testimone che ci viene allungato per continuare la corsa della vita: anche, e nonostante tutto, nelle zone di Chernobyl; anche, e nonostante tutto, la rassegnazione ai tempi lunghi. Anche e perchè, soprattutto, la speranza è il collante che ci unisce e che ci spinge alla concretezza ed alla scelta dei cammini percorribili